mercoledì 21 maggio 2014

Per chi, come noi, crede nella terra (e in Lucrezio). Wine tour a Tenuta di Fessina, accoglienza shabby-chic

_L’accoglienza a Tenuta di Fessina, shabby chic. By Debora_ “…ascoltarne il profumo, anche diverso, al naso, poi in bocca. Il che dovrebbe avvenire per ogni cosa e fatto – sia della vita materiale, sia di quella spirituale (la scuola, i rapporti d’amore, le amicizie, le discussioni dialettiche, quant’altro) – che onorino la vita; anche – contro i ricchi più ricchi – la festeggino. Se fossi credente e visitassi ogni chiesa del mio percorso, prima che all’altare maggiore mi soffermerei alle opere d’arte – pitture, affreschi, maioliche, arredi, sculture – e cercherei di trarne il maggiore piacere, materiale e no. Per chi, come noi, crede nella terra (e in Lucrezio), è imperativo porre l’attenzione ad ogni gesto, così da farci, in poco tempo, capaci di ogni scelta” Da Le parole della terra di Luigi Veronelli e Pablo Echaurren
“Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne sgrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringrazziannu u Signiruzzu, si mangiano!” Da “Gli arancini di Montalbano” di Andrea Camilleri, Oscar Mondadori, 2001

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